Il trattamento del carcinoma pancreatico viene definito in relazione allo stadio di presentazione della malattia. La malattia può essere considerata:
- localizzata: la malattia è confinata all’organo;
- localmente avanzata: la malattia infiltra i grossi vasi arteriosi e venosi;
- metastatica: presenza di metastasi a distanza.
La chirurgia rappresenta il trattamento di scelta nelle forme localizzate. Meno del 20% dei pazienti è candidabile alla chirurgia con intento curativo, con un tasso di sopravvivenza globale a 5 anni dall’operazione che non supera il 20%. La chirurgia resettiva è tecnicamente complessa, gravata da un alto tasso di complicanze post-operatorie e necessita di essere eseguita in Centri ad alta specializzazione.
La duodenocefalopancreasectomia rappresenta la procedura di scelta per il trattamento delle lesioni della testa del pancreas e consiste nell’asportazione di testa del pancreas, duodeno, via biliare principale, colecisti. La resezione si associa all’asportazione dei linfonodi vicini al pancreas inclusi i linfonodi più vicini al fegato e ai grossi vasi addominali.
La splenopancreasectomia sinistra è la procedura di scelta per il trattamento delle neoplasie del corpo e della coda del pancreas. Consiste nell’asportazione del pancreas e della milza per garantire una resezione oncologicamente radicale con asportazione dei linfonodi vicini al pancreas, dell’arteria splenica fino all’origine del tripode celiaco e dei linfonodi adiacenti alla milza.
La chemioterapia è indicata in diversi stadi nel carcinoma del pancreas.
Nei tumori in fase iniziale, la chirurgia seguita da un regime con polichemioterapia nei pazienti in buone condizioni generali (5-fluorouracile/ irinotecan/oxaliplatino) o con un solo farmaco (Gemcitabina) migliora la sopravvivenza ed aumenta la percentuale di guarigioni rispetto alla sola chirurgia. Nonostante la chemioterapia adiuvante, i pazienti operati radicalmente hanno un rischio di ricaduta molto alto.
Nei pazienti con malattia localmente avanzata potenzialmente resecabile (borderline), ovvero quei casi in cui la malattia è resecabile ma vi è un rischio molto alto di lasciarne dei residui, viene proposta la chemioterapia somministrata prima della chirurgia (accompagnata o meno dalla radioterapia). L’obiettivo è di consentire di asportare il tumore con margini sani poiché lasciare residui anche microscopici di tumore rende vano lo sforzo del chirurgo e inutile un intervento tecnicamente difficile e non esente da complicanze anche gravi.
Purtroppo, la maggior parte dei pazienti presenta alla diagnosi una malattia già metastatica ovvero disseminata ad altri organi o tessuti (soprattutto fegato, peritoneo, linfonodi e polmoni). In questa situazione, gli obiettivi del trattamento sono più limitati. Se le condizioni generali del paziente sono adeguate ad un trattamento, la chemioterapia prolunga la vita e ne migliora la qualità.
La gemcitabina e alcune combinazioni di farmaci come gemcitabina/nab-paclitaxel e 5-Fluorouracile/oxaliplatino/irinotecan possono essere considerati i farmaci di riferimento nel trattamento della malattia avanzata.
La radioterapia è indicata in diverse situazioni nel carcinoma del pancreas.
La radiochemioterapia adiuvante (ovvero eseguita dopo l’intervento chirurgico) è rivolta al controllo locale, essendo la presenza di margini positivi assieme all'interessamento linfonodale i fattori maggiormente correlati con la possibilità di recidiva loco-regionale. La radiochemioterapia può essere considerata sia dopo chirurgia radicale sia dopo chirurgia parziale in associazione a gemcitabina o a fluoropirimidine.
Nella malattia inoperabile, l’impiego della radiochemioterapia può contribuire al miglior controllo locale della sintomatologia. I pazienti con malattia localmente avanzata non resecabile possono inoltre essere trattati con chemioterapia sistemica, con riferimento agli schemi utilizzati nella malattia avanzata, seguita da radiochemioterapia concomitante di consolidamento.
Negli stadi avanzati, la radioterapia a scopo palliativo o sintomatico può essere impiegata per alleviare i sintomi, soprattutto il dolore da infiltrazione del plesso celiaco, nei casi in cui la malattia non possa essere curata.