Poiché il fegato dei pazienti con epatocarcinoma è quasi sempre malato, la valutazione dello stadio del tumore include la valutazione della funzionalità del fegato. Il modo più comune per valutare la funzionalità epatica dei pazienti cirrotici è rappresentato da una classificazione detta di Child-Pugh che considera alcuni parametri di laboratorio (bilirubina, tempo di protrombina e albumina) e clinici (ascite, ossia accumulo di liquido nella pancia; encefalopatia, ossia alterazioni neurologiche dovute all’insufficienza epatica) ai quali attribuisce un punteggio. In base alla somma dei punteggi i pazienti vengono classificati in tre classi di funzionalità epatica: A (buona), B (intermedia), C (ridotta)
Oltre alla classe di Child-Pugh, nei principali sistemi di stadiazione si aggiungono parametri legati all’estensione del tumore (es.: numero e dimensione dei noduli; livelli di alfafetoproteina; presenza di trombosi della vena porta; presenza di metastasi) e alle condizioni generali del paziente. I due sistemi di stadiazione più utilizzati sono il BCLC (Barcelona Clinic for Liver Cancer) e il CLIP (Cancer of the Liver Italian Program).
La decisione terapeutica dovrebbe essere presa da un team multidisciplinare e definita in base all’estensione di malattia e alla funzionalità epatica di base. Si possono distinguere pazienti con tumori confinati al fegato e pazienti con interessamento extra-epatico (trombosi della vena porta e/o metastasi):
- Il trattamento del paziente con epatocarcinoma confinato al fegato e Child-Pugh A-B è mirato all’eradicazione della neoplasia. Nel caso di pazienti con un nodulo singolo con dimensione inferiore ai 5 cm o di non più di 3 noduli non superiori a 3 cm di diametro massimo, vi è un’indicazione a trapianto di fegato, se in presenza di organi disponibili e di adeguate condizioni generali del paziente.
La resezione chirurgica della porzione di fegato che contiene i noduli tumorali rappresenta una valida possibilità terapeutica nel caso di pazienti per i quali vi è indicazione al trapianto di fegato ma non sono candidabili al trapianto a causa di controindicazioni (es. l’età avanzata ed eventuali altre malattie). Rappresenta la terapia di scelta nel caso di pazienti con nodulo singolo > 5 cm, se tecnicamente possibile e se lascia una quantità di fegato sano funzionalmente sufficiente.
Il trattamento di termoablazione percutanea tramite radiofrequenza consiste nell’inserimento, in anestesia locale, di aghi direttamente all’interno della lesione tumorale per determinare la morte delle cellule tumorali tramite la produzione di energia termica.
L’alcolizzazione o embolizzazione percutanea con etanolo prevede l’iniezione di alcol etilico direttamente nel tessuto tumorale tramite un catetere: l’alcol agisce sia diffondendo all'interno delle cellule uccidendole per disidratazione, sia provocando trombosi di piccoli vasi seguita dall'ischemia del tessuto neoplastico. Nel complesso, l’alcolizzazione produce risultati lievemente inferiori rispetto alla termoablazione per cui, quando sono disponibili entrambe queste metodiche, la seconda è preferita. Tuttavia, l’alcolizzazione può essere una valida scelta nel caso di noduli presenti in sedi “rischiose” per la termoablazione
La chemioembolizzazione Transarteriosa (TACE) è una procedura che consiste nell'iniezione di un farmaco chemioterapico miscelato con agenti embolizzanti nelle arterie che portano sangue all’epatocarcinoma tramite un catetere che viene inserito nell’arteria femorale. La chemioembolizzazione rappresenta il trattamento di scelta per tumori multipli non candidati al trapianto e non resecabili.
- Nel caso di pazienti con epatocarcinoma avanzato e buona funzionalità epatica (Child-Pugh A) il trattamento di scelta è rappresentato da terapia sistemica con Sorafenib. Questo farmaco rallenta la crescita delle cellule cancerose e bloccare l'apporto di sangue alla massa tumorale che si trova, quindi, sprovvista di nutrimento e - di conseguenza - non riesce più a crescere. Sorafenib è prescritto sotto forma di compresse e i principali effetti collaterali di questo farmaco sono rappresentati da una desquamazione di mani e piedi (chiamata sindrome mano-piede), da diarrea e stanchezza. Il trattamento con Sorafenib va proseguito finché la malattia non progredisce, segno di perdita di attività del farmaco, o finché non si verificano effetti collaterali gravi che impongono la sospensione del trattamento. A fallimento di Sorafenib, è possibile considerare Regorafenib e successivamente Cabozantinib.
Un’alternativa a Sorafenib è rappresentata da Lenvatinib, che mostra uguale efficacia in termini di sopravvivenza, ma con un differente profilo di tossicità.
Dopo aver completato l’iter terapeutico ed anche in assenza di malattia visibile, tutti i pazienti necessitano di sorveglianza per poter identificare precocemente eventuali recidive di malattia.